martedì 5 novembre 2013

i miei racconti: un uomo così

Ugè era sempre stato un po' strano, diciamo che talvolta faceva cose che per gli altri non avevano alcun senso logico. In paese l'accettavano così com'era, nessuno poteva dire che non fosse un brav'uomo, sempre pronto ad offrire il suo aiuto la dove ne vedeva il bisogno.
Viveva assieme alla sorella che aveva diversi anni in più di lui, erano  tanto legati tra di loro quanto diversi di carattere l'una dall'altro. Lei era sempre in movimento, piccolina dall'incarnato bianco e con gli occhi che sembravano due more incastrate tra le rughe di quel viso rotondo e grassoccio, aveva i capelli, nonostante l'età, ancora tutti neri e raccolti in una treccia appuntata sulla nuca.
Lui non era quello che poteva definirsi un bell'uomo, probabilmente non lo era stato nemmeno da giovane. Era alto e robusto aveva capelli rossicci ed il viso pieno di lentiggini e quando rideva traspariva su quel viso, qualcosa del monellaccio che doveva esser stato da ragazzo.
Tra i due quella che aveva sempre l'ultima parola   e si occupava delle poche finanze di cui disponevano, era la sorella.
Era una cosa normale, sentirla mentre lo rimbrottava sempre come un bambino piccolo, lei l'aveva sempre considerato un po' come un figlio visto che da quando avevano perso i genitori lei da sola s'era occupata di quel ragazzotto, che ben presto anche se poco più che bambino l'aveva superata in altezza. Nonostante il passare degli anni erano rimasti un po' come due ragazzi, lei brontolona, protettiva e piena d'ammirazione per quel suo fratello, così come  una madre lo è per l'unico figlio maschio. Lui faceva i lavori più pesanti ed ogni volta prima di far qualcosa si preoccupava dell'opinione della sorella. Ma a volte agiva d'impulso, facendo ciò che gli piaceva sapendo che dopo ci sarebbero stati i rimbrotti e per giorni la sorella gli avrebbe risposto soltanto con dei mugugni.
Vivevano in una piccola casa che sembrava fatta su misura per la sorella mentre lui doveva chinarsi ogni volta che passava attraverso una porta e pure al centro della piccola camera, doveva chinarsi ogni volta che passava sotto al grosso trave di castagno che sorreggeva il soffitto.
Ad Ugè' piaceva starsene in cucina, era spaziosa e c'era un camino in pietra che ne occupava un intera parete. A parte due mensole su cui poggiavano piatti e bicchieri, ed  una terza che sembrava un piccolo altare coperto da bianchi pizzi su cui stavano foto, santini ed un lumino ad olio sempre acceso, c'erano nella cucina solo un grosso acquaio in marmo, un tavolo e quattro sedie.
In quella casa da tempo nulla di nuovo era stato comprato poiché ogni cosa che vi si trovava l'avevano lasciata i genitori.
Ugè, come la sorella, non s'era mai fatto una famiglia però dicevano che da ragazzo s'era fidanzato in un altro paese e dopo averlo lasciato, la ragazza aveva detto di lui che non era normale, ma di quella storia non se ne sapeva molto e lui non ne aveva mai parlato.
Era amico di tutti ma di nessuno in modo particolare, non gli piaceva passare la sera all'osteria o in compagnie chiassose. Non si lasciava coinvolgere in accalorate discussioni, per ciò anche i compagni che gli lavoravano fianco a fianco giorno dopo giorno, pur sapendo, in caso di bisogno di poter contare su di lui, non sapevano come la pensasse riguardo a molte cose.
Ciò che talvolta Ugè  faceva erano cose considerate prive di senso, perdite di tempo, che solo a lui potevano venire in mente. Come da giovane, quando s'era messo in mente di contare le stelle e se ne stava in un prato, al buio, sdraiato per ore a fissare il celo stellato, finché la sorella andava a cercarlo e lo convinceva a tornare a casa.
Poi con il passar dei giorni s'era arreso perché il numero delle stelle che riusciva a contare non era mai uguale. Però aveva continuato, nelle sere d'estate, andarsi a sdraiare nei prati , per guardare il cielo stellato ed a volte addormentandosi, vi passava la notte.
Una volta andò alla fiera che si teneva ogni anno giù a valle e mentre gli altri ne tornavano, alcuni con un maialino, altri con un nuovo attrezzo da lavoro o con qualche pianta da frutto, lui ne era tornato con un vecchio cavallo. Era l'unico in questi paesi ad avere un cavallo e sembrò a tutti una cosa assai bizzarra, anche perché nessuno vide mai quella bestia gravata da un peso. Era Ugenio che portava carichi pesanti mentre il cavallo lo seguiva come un cane, a lui, comprandolo non era mai venuto in mente di farlo lavorare e d ancor meno di salirci sopra, l'aveva preso soltanto per avere compagnia quando andava nei campi o nel bosco.
Quel cavallo, abituato a lavorare e camminare in pianura, ogni volta che trovava sul suo cammino dei dislivelli si fermava, allora Ugè posava a terra il suo carico e dopo averlo accarezzato e tranquillizzato con le parole, l'esortava a riprendere il cammino.
Camminavano sempre a fianco uno dell'altro, tranne  al mattino quando lui doveva andare alla cava.
Sua sorella aveva brontolato parecchi giorni per via di quel cavallo, che una mattina, aprendo l'uscio della stalla se l'era trovato improvvisamente davanti. Era arrabbiata per quella spesa inutile e per più giorni aveva tenuto il broncio al fratello, brontolando ad alta voce, come se parlasse da sola, ogni volta che il fratello le passava vicino, senza però rimproverarlo mai direttamente.
Ma vedendo il fratello soddisfatto di quella compagnia, con il tempo s'era abituata all'idea ed a chi gli domandava qualcosa a riguardo lei gli rispondeva : " E che vi debbo dire ? il mio Ugè è sant'e bono ma è un uomo così! ".
S'era da poco spento, sui bassi colli il rossore che aveva lasciato il sole dopo che v'era tramontato dietro e dalla parte opposta era sorta la luna in tutta la sua pienezza.
Era circondata dall'alone della malasorte e giù, lungo il corso del rio le civette lanciavano i loro richiami, ma Ugè  era contento di quella luminosità che allungava le ombre e rendeva chiara la sera.
Se ne stava seduto sul ponticello di pietra, lungo la mulattiera, nei pressi del vecchio mulino.
Gettava continue occhiate alla nuova strada non ancora terminata che corre per circa due chilometri parallela e vicina alla mulattiera.
Erano parecchie sere che vi si recava, era un piacere nuovo che concedeva a se stesso.
C'era in quel periodo una ragazza che diversamente da altre, aveva deciso d'andare a studiare e benché le lezioni terminassero nel primo pomeriggio, sia per la lontananza che per mancanza di mezzi di trasporto, arrivava in paese quand'era buio.
Inoltre la ragazza doveva farsi a piedi l'ultimo tratto di strada poiché la corriera si fermava al paese vicino dove la strada era asfaltata.
A lui dava piacere, in quelle sere di luna piena, guardarla a pochi metri più in basso mentre camminava a piccoli passi svelti. In sere come quelle la luce della luna gli permetteva di vederne la  figura e il colore chiaro dei capelli. Era per lui un piacere nuovo, che non chiedeva nulla di più, gli piaceva quella presenza, quell'accompagnarla a poca distanza senza esser visto e poneva molta attenzione a non far rumore. Nelle sere buie, senza luna, seduto nello stesso posto aspettava di veder comparire sulla strada il lume della torcia elettrica che lei portava con se.
Ugenio s'era accorto che lei aveva paura del buio; l'aveva capito perché ad ogni minimo rumore vedeva il cerchio di luce della lampada fermarsi sulla strada e poi dirigersi la da dove questo proveniva,erano rumori provocati da piccoli animali.
 Lui stava attento e talvolta si chinava per non essere investito da quella luce, in certi punti le due strade erano così vicine l'una all'altra che poteva sentire il profumo che la ragazza si metteva.
Senza che lei lo sapesse lui l'accompagnava così ogni sera, contento di scorgerne appena la figura.
Non si sarebbe mai fatto vedere, pensava però che sarebbe stato lì se lei ne avesse avuto bisogno.








   


 

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