Erano le mani del padre , mai alzate su di me per una
carezza, mai alzate su di me per punirmi. Mani torte, larghe come attrezzi da lavoro, di cavatore e contadino con
un pollice che mancava per metà e due
vecchie cicatrici confuse tra le rughe.
Ora che non ci sei e la mia età si fa vicina alla tua
comincio a capire.
Non sopportavo la tua indifferenza.
Non sopportavo la tua indifferenza.
Ora comincio a capire che la tua era
accettazione , era resa là dove non si può lottare contro la morte che ci porta
via un figlio o la grandine che distrugge il lavoro di una stagione.
Ricordo di una volta che, con un rastrello in mano , stavo guardando una vipera mentre tu non visto da me mi stavi osservando e mi hai detto: ”Non ammazzarla perché se l’hanno messa al mondo si vede che a qualcosa serve”.
Non avevi studiato il rispetto per la natura ma lei faceva parte di te da sempre.
Ricordo di una volta che, con un rastrello in mano , stavo guardando una vipera mentre tu non visto da me mi stavi osservando e mi hai detto: ”Non ammazzarla perché se l’hanno messa al mondo si vede che a qualcosa serve”.
Non avevi studiato il rispetto per la natura ma lei faceva parte di te da sempre.
Poteva esser
un antico canto.
Poteva esser
cielo o pietra
Tempo che
non muore.
Ma è solo un torto
tralcio
Predato de’
suoi frutti
Che s’orla
d’un silenzioso pianto
Mentre dalle
stoppie arse
Sale l’ultimo filo
d’incenso
A benedire
il giorno che muore
Al limitar
del campo.
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