venerdì 13 settembre 2013

i miei racconti: la macina

La Macina


è una giornata piovosa e sto qui, in cantina, ho voglia di silenzio.

Davanti a me ho un tavolo il cui ripiano è una vecchia macina di mulino e come una ruota d'orologio ha scandito tane vicende della mia famiglia.

Mio nonno , così orgoglioso del suo mulino, arrampicato sulle rocce che costeggiano il rio in novembre e dicembre sempre gonfio d'acqua necessaria per la macinazione delle castagne ormai pronte dopo il lungo periodo d'essiccazione nel metato.

Ricordo quel viottolo che entra ed esce dai castagneti, in parte tagliato nella roccia e la gente che lo percorreva quasi in processione con i sacchi delle castagne secche, portati dalle donne sul capo e dagli uomini sulle spalle.

Al mulino veniva gente dai paesi vicini ed era un'occasione per scambiarsi notizie.
 Noi ragazzi l'estate, quando i genitori nelle ore più calde andavano a letto si scappava per andare nel canale ad infilarci in quelle pozze ombrose e fredde che s'erano formate dove l'acqua scendeva in piccole cascate.

Di quel mulino ricordo la stanza con le due macine, il via vai di gente, cinghie piene di polvere, tutto era impolverato, le persone, le ragnatele e soprattutto il nonno che ogni tanto scrollava la testa , sempre infarinata.
  Era una polvere che potevi assaggiare, dolce di farina di castagne.

I nonni nel periodo della macinazione abitavano al mulino, al piano di sopra c'era un unica stanza con il pavimento di tavole sconnesse e quando il nonno riposava era la nonna che lavorava al piano di sotto.
 Quando le macine cambiavano rumore perché la farina si stava riscaldando troppo, il nonno si svegliava di botto e attraverso quelle tavole sconnesse gridava alla moglie che stava nella stanza di sotto tutto il repertorio di parolacce e moccoli che conosceva.

 Ma lei che era sorda non lo sentiva allora lui scendeva giù per la scaletta di legno e la cacciava fuori a forza di gestacci.

Però io alla sordità della nonna non ci credevo tanto perché la domenica alla messa rispondeva senza mai sbagliare e poi era sorda solo quando il nonno era arrabbiato, forse era il suo modo per non litigare con il marito.

Ci fu un autunno particolarmente piovoso e in quegli ultimi tre giorni aveva piovuto come non s'era mai visto e quella notte ci s'era messo anche un forte vento.

I nonni erano in paese quando i rami e il terriccio avevano formato nel rio, su a monte,uno sbarramento che sotto la forte spinta dell'acqua aveva ceduto improvvisamente facendo precipitare in basso una cascata  di pietre , rami,  fango ed acqua e pure il mulino di cui era rimasto in piedi soltanto il muro posteriore con porta e finestra.

Giù in basso, vicino al sentiero, bloccata nella sua corsa da un grosso castagno era rimasta una macina.

Seguirono giorni tristi e il nonno spesso s'incamminava sul sentiero con il suo cappello logoro e la sua figura curva che si appoggiava ad un bastoncello. Andava a sedersi presso il canale sulla sua macina.

Credo che mio padre in quel periodo, poco cristianamente, si sia preso la sua vendetta.
Il nonno non gli aveva mai perdonato a lui cavatore con lavoro saltuario d'aver messo incinta la figlia maggiore portandogli
" il disonore in casa ".

Ho sentito una volta mio padre dire al nonno : "perché non ci dite ora  che voi avete il mulino e il pane sicuro mentre io vivo alla giornata ?
  è inutile che andate a sedervi sulla macina se io fossi nei vostri piedi me la legherei al collo e mi butterei dove l'acqua è più fonda ".

La mamma spesso dopo la perdita del mulino di nascosto dal babbo mi mandava a portare un po' di cibo ai nonni.

Poi un giorno il nonno fu trovato morto nel canale, dissero che ormai vecchio e con il passo malfermo vi era caduto.
 Ma crescendo ho creduto che vi si fosse buttato perché il pane chiesto ai figli ,per lui tanto orgoglioso, si faceva ogni giorno più amaro.

Diciotto anni, forse un po' meno, rivedo me stessa non bellissima ma giovane , forte e piena d'amore per questa terra che tanti cominciavano ad abbandonare. Me ne scappavo ogni pomeriggio vicino al sentiero a sedermi sulla macina nascosta tra le fronde dei castagni.
 Aspettavo che passassero sul sentiero i cavatori perché in quei giorni  veniva su dalla pianura per lavorare nelle cave un ragazzo alto e con i capelli chiari ; non ho mai visto bene il suo volto, ma la sua schiena si, quella la ricordo bene.

 Mi sembra ancora di vederla ampia e muscolosa con la camicia che il sudore vi faceva aderire disegnandovi al centro una striscia bagnata e scura. Ricordo le sue gambe lunghe e le sue risa mentre passava sulle pietre per attraversare il canale.
 Gli altri cavatori avevano un passo diverso , c'era nel loro camminare tutta la stanchezza d'una giornata di duro lavoro, ma lui no, sembrava appena uscito di casa.

Un giorno anche quel sentiero è scomparso, sono venuti uomini con i picchetti e dopo poco sono arrivate le ruspe per fare la strada che collega i paesi dei monti alla pianura.

Ed è proprio su quella strada che con un trattore e braccia robuste è stata portata nella mia casa la macina e ne abbiamo fatto un tavolo.

Vi passo sotto la mano; sento la forma di un cuore inciso da due innamorati prima di celebrare nel bosco le loro nozze segrete.








   

     

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